INCONTRO AL MISTERO SULLE ORME DEI DAZE
INCONTRO AL MISTERO SULLE ORME DEI DAZEMaria Clotilde MerlinAlcuni incontri segnano la vita.
Nodi di una rete che si distende per accogliere lo scorrere dei giorni e offrire sicurezze e riparo ma
anche slanci e motivazioni e desideri di infinito.
So di non mentire se affermo che per i sauzesi e non solo, l’incontro con don Paolo è un tale saldo riferimento.
Come uomo e come prete.
Fede granitica in pienezza umana che tracima.
Attenta tessitura di sane relazioni reciproche che costruiscono comunità come grembo ospitale della
novità del Vangelo.
Umano e divino, nell’umanità redenta, intessono la realtà nuova della vita che risorge, si umanizza fino
a valicare nella fede le porte del Mistero.
In paesi sperduti, quel prete che sembrava capitato per caso, sfidando difficoltà che i più
definiscono insormontabili, ha scommesso tutto su questo ideale.
Il suo riserbo mi suggerisce di lasciare al Signore ogni giudizio di merito.
Sono felice tuttavia di ripercorrere attraverso i daze l’annuncio sempre nuovo dell’Evangelo come
lieta notizia, un itinerario inusuale che mette in gioco fantasia, creatività, freschezza di sentire e di
linguaggio.
Invito a scoprire la bellezza celata e talvolta offuscata nel cuore dell’uomo dalle nebbie delle distrazioni,
indecisioni, delle fragilità o del vizio e nel creato dalla ingordigia e insipienza umana.
C’è nella proposta, mai ripetitiva, un grande rispetto.
Per la Verità annunciata e per la sensibilità di ciascuno.
Un invito a fare insieme un passo verso destinazione chiara e luminosa ma incoraggiando e valorizzando
ogni movimento interiore o piccolo sforzo verso il bene.
La cima più alta è sempre lì, invitante e provocatoria, ma nessuno si sente sminuito o svalutato se avverte
di esserne ancora distante.
La Verità annunciata ha sempre un volto.
Quello della Trinità e quello proprio di ciascuno.
Nella Trinità è Agape.
A sua immagine, ogni destinatario dell’annuncio viene chiamato con il suo nome proprio.
Nella consapevolezza che nello sguardo cordiale verso l’altro è già contenuto un mistero.
Più profondo di tutte le umane scienze.
Nei daze è restituita dignità ad ogni storia minima.
Sono testimonianze di verità di vita, di enorme potenza. Essenziali.
Come quando sbucci un frutto o rompi il guscio di una noce. Resta la polpa o il gheriglio.
O quando succhi il miele dal favo. Dolcissimo.
Essi frugano e cercano, nei sotterranei della coscienza, il seme dell’amore, deposto dal Creatore. Inviti
struggenti a lasciarsi avvolgere dalla luce di Dio e a sperimentare la gioia di essere salvati.
Immettermi in quel flusso di luce e di grazia, percepirne l’interno dinamismo e tentare di dargli voce
e volto mi è parsa una bellissima avventura.
Il sobrio accompagnamento alla lettura è scaturito proprio come risposta alla proposta, annotazione
delle mozioni interiori suscitate in un’anima di donna, sposa e madre, la vita trascorsa sui sentieri
dell’educare, inteso come impegno perché l’altro viva la sua pienezza.
Essere figlia della terra e della cultura occitana in cui affondano le salde radici che mi hanno consentito
di sentirmi cittadina del mondo, il senso di forte appartenenza al popolo di Sauze e la condivisione
dell’impegno per la sua resurrezione, la convinzione, condivisa più volte con don Paolo, che tra il rimpianto
e il rifiuto del passato esista una terza via, mi hanno incoraggiato a non sottrarmi all’impresa.
Perché i daze provocano un dialogo aperto e stimolante, che vuole regalare fiducia e contagiare la gioia
della fede nella ricerca sofferta di nuove sintesi e nuovi ritrovamenti di senso.
Una danza di luce nelle menti e nei cuori, in un gioco di riflessi e di rimandi, uomini e donne, presbiteri
e laici, giovani e vecchi, residenti e villeggianti, anime di differente formazione e sensibilità, vivi e
morti-viventi.
In essi affiora la bella difficile misteriosa gestazione dello spirito di comunità nonostante, (nonostante
la diaspora degli abitanti dopo l’incendio del Sauze, lo spopolamento dei paesi, la travagliata storia di
San Sicario) di cui i daze insieme ai Bollettini costituiscono testimonianza e insieme geniale sostegno.
Ascoltando dall’interno le domande di senso della gente, condividendo la fatica del discernimento tra
i valori e le differenti modalità culturali della loro proposta, ho scelto di cogliere la novità, la vita che
germina dentro ogni messaggio e che ti travolge con la sua forza dolcissima, con la sua intensa carica
di profezia.
Gustare e offrire.
Ne sono nati quattordici itinerari.
Temi centrali che mi sembra mettano bene in relazione i fondamentali contenuti della fede con la
sensibilità del nostro tempo. Ponti gettati tra la concretezza delle piccole cose e la ricerca del senso
della vita, la scoperta dei tanti sentieri che portano al Signore, tra l’annuncio del kerigma e il suo incarnamento
nella storia personale e del mondo, l’inseminazione della fede nella vita per renderla bella
e buona, la sorpresa di una fede che si fa vita lungo il cammino di un popolo, pellegrino, che scopre e
vuole vivere intensamente il presente attingendo alle fonti della Memoria.
Memoria di futuro, garantito dalla Presenza del Risorto, grembo fecondo di ogni resurrezione.
La spiritualità della Memoria salva il passato accogliendolo nell’Eterno Presente e apre al Mistero
dell’Attesa.
E’ il senso di quel Christus vincit così caro a don Paolo, scelto come uno dei quattordici itinerari.
E’ come affacciarsi sui panorami mozzafiato delle nostre creste dei monti o perdersi nella bellezza
dagli infiniti volti.
Puoi aprire a caso e goderti un frammento o se preferisci scegliere tu in libertà un itinerario, o lasciarti
condurre nel percorso proposto.
Ognuna di queste scelte credo resti fedele allo spirito in cui i daze sono stati concepiti e offerti, da una
mente che per formazione e esperienze pastorali pure conosceva bene il rigore e la precisione dello
storico e del teologo, ma su questi fogli spesso non ha annotato neanche la data.
Come a offrire gocce di quella sapienza maturata nella sua vita di prete da sessant’anni ma con l’entusiasmo
intatto e la delicata freschezza della prima messa.
Sapienza distillata nell’alambicco delle concrete circostanze, come grazia di un momento, senza diritti
d’autore, nel flusso di quella santità di popolo a lui tanto cara, di un processo di progressiva umanizzazione
destinata al Magis, all’oltrepassamento dell’umano, reso possibile dalla presenza vivente del
Signore nella storia.
Ancora la Memoria.
Catapultato in realtà ruvide e rocciose di paesi di alta montagna abbandonati e stravolti da dolorose
vicende come Sauze e contemporaneamente nel cuore della società liquida di stazioni sciistiche d’avanguardia,
occorreva mantenere in sé e proporre Il Centro.
Il prezioso tesoro della fede andava custodito e trasmesso.
Nelle forme da inventare per farlo scoprire, apprezzare, desiderare.
Per trasformare la lana del vello in soffice indumento.
Nella infanzia ho conosciuto l’arte di cardare la lana, filarla, lavorare a maglia, le mani magiche delle
nonne che creavano indumenti di pregio,
Credo che don Paolo con i suoi daze abbia proprio realizzato questa prodigiosa filatura.
In modo quasi istintivo, dice lui, umilmente.
Personalmente oserei dire invece per sensibilità e fine discernimento.
Fedele a questo spirito credo che l’itinerario possa proprio partire dalla bellezza delle piccole cose.
Bellezza. Quella del volto di Dio e di una umanità e creazione redenta.
Piccolo. Come un granello di senape.
Cosa. Il frammento di essere, di esistenza che riesci a percepire. Il limitare, la porta per affacciarti al
Mistero.
Se unisci questi tre elementi lasci nascere in te meraviglia e stupore.
Avviene il prodigio.